ore 21.45
“LA MORTE DI ANNIBALE”
di DOMENICO FERRARI CESENA
progetto e regia NICOLA CAVALLARI
attori Letizia Bravi, Nicola Cavallari, Gilberto Colla, Andrea Coppone
danzatori Carolina Cavallo, Marta Cristofanini, Carlo Gambaro, Erika Scarcia, Anna Solinas (Noma Physical Theatre)
musiche Francesco Brianzi interpretate da Tempus Fugit Percussion Ensemble (Simone Allegri, Stefano Borin, Francesco Brianzi)
giochi di fuoco Dario Rigolli
videomapping Rorschach visual project
sound designer Stefano Cremona
disegno luci Max Dallaglio
service audio/luci Acid Studio – servizi per lo spettacolo
assistente alla regia Maddalena Maj
le immagini utilizzate nel videomapping sono di Giuseppe Maisto, Art Direction TWOSHOT e GLI ORSI STUDIO
produzione Fondazione di Piacenza e Vigevano
in collaborazione con Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi
Non so come vada giudicato un progetto culturale; forse per l’interesse che ha suscitato, forse per quello ci lascia, forse per le discussioni che ha provocato; ognuno ha certamente la propria risposta. Io di preciso non lo so, ma con il progetto “Annibale” ho vissuto di sensazioni: sensazioni della presenza di un pubblico vasto e interessato; sensazioni di riscoperta di luoghi e di origini; sensazioni di rinascita dei sotterranei di Palazzo Farnese. E devo riconoscere che, al di là della mostra “Annibale, un mito mediterraneo”, il teatro di questo progetto è stato grande protagonista. Si è iniziato nel tardo autunno con uno spettacolo dedicato ai giovanissimi, si è proseguito, di recente, con una rappresentazione di liceali piacentini e si conclude con una serata che ben riassume un preciso percorso culturale.
Potremmo dire “il solito evento a più mani” e, di questi tempi, dell’aggettivo “solito” c’è da essere orgogliosi. La “solita” vasta collaborazione:
– l’autore, Domenico Ferrari Cesena, che non dovremmo mai finire di ringraziare per il suo costante impegno a favore della rinascita culturale della città; al suo stile, alla sua sobrietà e alla sua signorile intelligenza dovremmo tutti ispirarci;
– il regista, Nicola Cavallari, che sono certo riuscirà a meravigliarci per le invenzioni che utilizzerà nella messa in scena (sappiamo piena di suoni, luci e videomapping), ma sarà tutta una sorpresa e noi vogliamo stupirci;
– la Galleria Ricci Oddi, luogo magico, non solo per la collezione straordinaria che racchiude, ma per la sua stessa architettura; la collocazione vuole essere un chiaro segno della collaborazione tra questo Istituto e la Fondazione di Piacenza e Vigevano, già tangibile con la realizzazione dello spettacolo LIFE nel 2016 e ben delineata nei progetti del prossimo anno.
Un caldo invito, allora, ad assistere a La morte di Annibale, nella certezza che i miti non muoiono, ma qualche volta vanno utilizzati e attualizzati, perché, forse inconsapevolmente, ci è toccato in sorte di vivere in luoghi affascinanti e suggestivi e, per certi versi, ancora tutti da scoprire.
Massimo Toscani
IL “MIO” ANNIBALE
Ho ammirato Annibale fin da quando qualcuno (non ricordo più chi, forse un congiunto, un maestro, un libro) mi ha raccontato la sua grandiosa traversata delle Alpi con l’esercito e gli elefanti. Non posso dire di averlo sentito vicino, ma ammirato sì, e molto. Un uomo che ha compiuto imprese sovrumane è raramente amato, ma suscita meraviglia, invidia, e talvolta fierezza in altri esponenti del genere umano. Le grandi, epiche vittorie di Annibale contro i Romani entusiasmano anche coloro che si considerano discendenti di quei Romani che furono ripetutamente sconfitti. Col passare degli anni, la mia ammirazione per il condottiero, lo stratega, l’innovatore, pur rimanendo altissima, è stata un po’ appannata dall’attrazione esercitata su di me dall’ultima parte della sua vita.
Quel che sappiamo dalla Storia è che Annibale fu costretto ad allontanarsi dalla sua patria, Cartagine, dove era tornato dopo la sconfitta di Zama, per l’ostilità di potenti concittadini.
La Storia ci dice anche che, fuggito da Cartagine, visse i 12 anni seguenti come ospite di vari potentati del Mediterraneo orientale e del Mar Nero, sempre braccato dai Romani, che volevano catturarlo per metterlo a morte, forse dopo averlo utilizzato come star di uno o più trionfi. La fuga lo aveva salvato fortunosamente varie volte, e costretto ad accettare l’ospitalità di un altro potentato.
In questa situazione tanto precaria, credo (anche se le storie non lo dicono) che Annibale, persona molto intelligente e riflessiva, di grande serietà e religiosità, si sia posto alcune domande fondamentali. “Quando morirò, cosa lascerò ai posteri? Le mie battaglie? Ma cosa ne faranno? A cosa sono servite? E le decine e decine di migliaia di morti che hanno provocato? Avessi almeno impedito ai Romani di impadronirsi di una gran parte del mondo conosciuto! E di conquistare, quando lo vorranno, e radere al suolo la mia città!”
È stato questo triste epilogo, in cui l’ultimo suo anfitrione inaspettatamente lo “vendette” ai Romani, a invogliarmi a mettere in scena l’ultima ora di Annibale. Un essere pienamente umano, che può essere amato come tale.
Domenico Ferrari Cesena
Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi